
Ormai le call sono diventate cosi naturali che c’è chi si collega dal bagno ( guardo sempre con sospetto a quelli che non accendono la telecamera), chi dall’automobile o dal motorino e chi, sprezzante del pericolo, dal treno o da altri posti pubblici dove persone disturbate dal tono di voce troppo alto sprizzano odio da tutti i pori e sognano di potervi infliggere lo stesso trattamento che l’agente Smith riserva al povero signor Anderson al loro primo incontro

Poi ci sono quelli che la camera l’accendono ma guardano da un altra parte e dalle facce che fanno puoi provare a immaginare quello che in realtà stanno vedendo sullo schermo principale (le persone con gli occhiali grandi spesso non si accorgono che hanno riflessi rivelatori che manco Richard Deckard quando trova le foto in casa Kowalski).

Lavorando con Codemotion però spesso ho anche a che fare coi guru dei meet, persone che non perdono tempo a cliccare a caso per trovare il doc a cui fanno riferimento, gente che ha il teleprompter perennemente acceso e con lo sguardo sembra fulminarti ad ogni tua perdita di tempo, nemmeno fosse un Whiterose qualsiasi e tu un MrRobot che ha voglia di buttarsi di sotto da solo.
Ma quale è il segreto di questi centipedi da tastiera, gente talmente veloce che mentre sta finendo la call con te è già entrata in altre due e nel frattempo chiude un contratto, autorizza 5 PR e va a fare la spesa con la moglie?
Lo stream deck!
Da non confondere con lo steam deck, altro device per gente che non perde tempo e finisce Zelda mentre va da Termini ad Anagnina.
Quando pensiamo a uno stream deck, invece dobbiamo pensare alla figura dello streamer che cambia scena su OBS, fa partire effetti sonori e manda in onda meme con un tocco nemmeno fosse un alieno dell’Eternauta.
Ma queste piccole pulsantiere con tasti LCD personalizzabili sono diventate molto di più: oggetti ibridi tra gadget e strumento professionale, capaci di entrare nelle scrivanie di developer, consulenti e creativi digitali.
Perché è utile
Il valore di uno stream deck è nell’abbassare l’attrito. Non devi ricordarti combinazioni di tasti o aprire menu nascosti: premi un pulsante e succede quello che ti serve. Può lanciare applicazioni, aprire file, inviare scorciatoie, avviare script, controllare OBS, mutarti in una call, inviare un messaggio Slack, gestire la domotica. Ogni tasto ha un’icona personalizzabile, quindi non hai solo una tastiera di macro, ma una piccola dashboard visiva che si adatta al tuo flusso di lavoro.
È utile perché ti obbliga a ragionare in termini di automazione: ti chiedi quali azioni ripeti ogni giorno e le trasformi in tasti. Alla fine diventa una sorta di “FinOps personale della produttività”: riduci sprechi di tempo, togli frizione, liberi spazio mentale.
Quando non è utile
Uno stream deck rischia di essere superfluo se il tuo lavoro è semplice e non prevede processi ripetitivi o multitasking complesso. Se apri poche applicazioni e non hai bisogno di macro, può diventare un oggetto costoso che dopo una settimana finisce nel cassetto. Non è adatto neanche a chi non ha voglia di smanettare un po’: il valore emerge dopo la fase di configurazione, non subito “out of the box”.

probabilmente i robottoni degli anni 70 ci influenzano ancora adesso e il desiderio di manopole e bottoni
A chi serve davvero
Il target originario erano i content creator e gli streamer, e per loro resta ancora imbattibile: cambiare scena, avviare effetti e interagire con la chat con un tocco. Ma oggi serve a chiunque lavori in un contesto digitale complesso. Project manager e consulenti lo usano per gestire meeting infiniti, designer e montatori lo sfruttano in Premiere o Photoshop, sviluppatori e sysadmin lo configurano per eseguire script, lanciare container Docker o monitorare log. In generale, chi ha molti tool e processi da orchestrare trova nello stream deck un acceleratore di flussi.
Caso pratico: due istanze della stessa app
Capita spesso la domanda: si può usare uno stream deck per controllare due istanze della stessa applicazione, ad esempio due account diversi di Google Meet? La risposta è sì, ma non in modo immediato. Di per sé non distingue tra finestre, ma tramite plugin o macro (AutoHotkey su Windows, Hammerspoon su macOS) puoi dire a ogni comando quale finestra deve ricevere il focus. Non è plug and play, ma fattibile, ed è proprio in questi scenari che emerge la flessibilità del dispositivo.
E chi usa Linux?
Qui entriamo nella zona “nerd”. Non esiste un software ufficiale universale per Linux, quindi chi usa Ubuntu o altre distro si affida alla community. E la community non ha deluso. Ci sono progetti come streamdeck-ui (un’interfaccia grafica in Python che permette di configurare i tasti e le cartelle) o librerie come python-elgato-streamdeck, perfette per chi vuole integrare il deck con script personalizzati.
In sostanza, su Linux il dispositivo diventa un laboratorio di automazione pura: puoi collegare i tasti a qualsiasi comando shell, a script per Kubernetes o a pipeline DevOps. Non hai l’immediatezza dei software proprietari, ma guadagni libertà assoluta. Non a caso, tra sysadmin e DevOps il deck ha una seconda vita che poco ha a che fare con Twitch.
Alternative di mercato
Il concetto di stream deck non è esclusivo. Ci sono prodotti con filosofie diverse:
- Loupedeck: pensato per fotografi e video editor, con slider e manopole fisiche, ottimo nelle suite Adobe.
- Razer Stream Controller: simile ai deck classici, sviluppato con Loupedeck, più orientato al gaming.
- Versioni software: app che trasformano smartphone o tablet in pulsantiere programmabili.
- DIY macropad: tastiere custom con firmware QMK o soluzioni basate su Arduino/ESP32. Non hanno display LCD, ma sono ultra configurabili.
Il punto di forza dei deck più diffusi resta la community: plugin pronti, guide, supporto continuo. Gli altri hanno punti interessanti, ma difficilmente la stessa massa critica.
Un po’ di storia
Gli stream deck nascono intorno al 2017, quando Twitch stava esplodendo. L’idea era semplice: dare agli streamer uno strumento hardware per rendere più fluido lo streaming. L’intuizione funzionò: invece di passare da OBS o ricordare mille scorciatoie, bastava un click. Nel giro di pochi anni il target si è allargato a creativi, professionisti e developer, trasformando i deck da gadget da streamer a strumenti di produttività general purpose.
L’arrivo dell’AI: obsolescenza o alleanza?
Con l’arrivo dell’intelligenza artificiale generativa, qualcuno potrebbe pensare: serve ancora uno strumento così fisico? Non basterà chiedere a voce o scrivere un prompt? In realtà l’AI e gli stream deck possono convivere e rafforzarsi.
Immagina un tasto che invia un prompt a un modello linguistico con parametri già preimpostati, o che lancia uno script Stable Diffusion con la giusta configurazione. Alcuni plugin già lo fanno: usi i tasti come “prompt fisici” che danno forma all’AI. In questo senso, il deck non diventa obsoleto: diventa l’interfaccia tattile e immediata a un mondo che è sempre più astratto e complesso.

Conclusione
Come ormai consuetudine(quando mi ricordo) questo articolo è stato preparato grazie a una discussione su un post linkedin. Veronica Schembri è andata oltre facendomi vedere come ha riconfigurato il suo mouse Logi per farlo diventare un wannabe Stream deck, l’immagine sopra è parte di un delizioso video in cui si è divertita ad aumentare la sua produttività senza spendere un euro. Anche qui i driver per linux sono impossibili da trovare, ma se qualcuno avesse delle dritte lo attendo a braccia aperte.
Vero è che gli stream deck non sono per tutti. Per alcuni restano gadget simpatici, per altri sono diventati pezzi centrali della propria scrivania. La verità è che il loro valore sta nel modo in cui obbligano a ripensare i processi: ogni volta che configuri un tasto, stai eliminando attrito. E oggi, in un mondo di tool sovrapposti, riunioni infinite e AI sempre più potente, avere un’interfaccia fisica che ti riporta ordine e immediatezza può essere più attuale che mai. Specialmente se disponete anche di una vasca con squali proprio davanti alla scrivania e avete configurato un semplice tasto per aprire la botola…